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Le foto sono state gentilmente messe a disposizione da Bruno Vendraminautore dei libri fotografici:

"Valdagno Architettura e Fotografia Oggi"

"Valdagno Contra' X Contra'".

 

 

 

 

"La scuola di una volta"

 

 

 

Inaugurazione 30 Agosto 2014

 

Quando a  Cerealto, qualche anno fa, si è deciso di dare un nuovo volto alla tradizionale sagra, gli organizzatori hanno ritenuto importante inserire nella programmazione delle varie attività anche delle mostre  che fossero momento di riflessione su tematiche di ampio respiro sociale.

 Certo una sagra per  sua stessa connotazione deve essere momento di divertimento ma ancor più,secondo noi, di aggregazione,  di condivisione e, perché no, di arricchimento culturale.

 E’ per questo che ci siamo posti l’obiettivo di presentare nelle varie edizioni  situazioni  che fossero, prima di tutto, di interesse comune e che richiamassero valori su argomenti attuali,   ad esempio  la salvaguardia  ambientale come è stato fatto in precedenza con la presentazione di flora e fauna delle nostre zone.

 Quest’anno presentiamo una mostra che ci coinvolge tutti indistintamente perché tutti nella vita abbiamo vissuto questa esperienza:  la scuola.

 Chi non conserva  ricordi a tal proposito in tempi più o meno lontani?

 Attraverso gli oggetti e i documenti esposti potremo rivivere un periodo importante della nostra vita, un periodo in cui  tutti siamo diventati artefici di noi stessi assumendo la consapevolezza che in quel “leggere , scrivere e far di conto”  si racchiudono tante emozioni, sacrifici , gioie e soprattutto la soddisfazione per aver iniziato quel percorso di apprendimento che ci accompagna per la vita.

  Per molti sarà un piacevole ritorno al passato, magari lontano ma sempre nel cuore,  per altri più giovani, sarà motivo di scoprire una realtà di cui, forse,  hanno solo  sentito dai racconti dei nonni.

 Un grazie al signor sindaco dott. Giancarlo Acerbi per la sua presenza e poi un  grazie particolare a tutti coloro  che hanno messo gentilmente a disposizione materiale vario per l’allestimento della mostra.

 

cliccare sul collage per visualizzare le foto

 

La me scola

 

Mi  tanti ani fa

a son sta scola qua,

tanti ricordi,  a volte strani,

me porta a quei giorni lontani!

 

El primo giorno contento son rivà,

ma gero  anca on po’ spaurà.

Però go fato on gran sospiro

Quando ca go visto on bel soriso.

 

Tuto me metea sogesion

e  me ga ciapà tanta agitasion,

ma la maestra co la so bontà

tuti la ne ga tranquilizà.

 

I ani i xe passà come na s-ciopetà,

ocorea tegner sempre i oci spalancà

parchè fra moltiplicasion e division

ghe gera da far tanta atension.

 

Xe rivà anca qualche castigo

con gran spavento ca no ve digo,

parchè se  vegnea a saverlo me mama

la me ne gavario dito straie par na stimana.

 

La scola a la canonica gera tacà,

 non so se  par questo semo sta fortunà.

Fato sta che quando le maestre castigava

Anca el prete, pi de na volta , le iutava.

 

Tante maestre go cambià,

ma tute nel core le me xe restà,

parchè le prime robe ca go imparà

le xe sta lore che me le ga insegnà.

 

Tanti amisi e compagni go vudo

e  tuti ben se ghemo  vosudo,

qualche volta se ga anca barufà,

ma ala fine amisi semo sempre restà.

 

Ai me tempi tanti tusi ghe xe stà

fioi de na dignitosa povertà,

dopo sempre manco i xe deventà

par colpa de sta strana società.

 

La scola xe deventà sempre pi triste,

no ghe gera pi nove conquiste,

no bastava on toso par fameia

par tegner la scola sveia.

 

E cossì on bruto giorno

no ghe xe pi sta ritorno,

verso la cità la scola se ga spostà

e on nostalgico ricordo la xe deventà

 

Ma Cerealto non ga perso l’onore,

ansi ga rinsaldà de pi el so amore

par quei valori che i veci ga lassà

come grande e presiosa eredità.

 

Desso semo qua a ricordare

quelo che non se pole dismentegare,

par insegnare a le nove generasion

che el tempo passa ma non va in pension.

                                                       Pretto Fernando                                    


 
 
 
La “casara”
 
 
Oltre 80 anni fa, il 5 gennaio 1928, 35 capifamiglia di Cerealto davanti al notaio Gaianigo Alessandro di Valdagno firmarono l'atto di acquisto del terreno su cui avrebbero costruito la “casara”. 
Inizia così la storia di quello che doveva essere per oltre 50 anni il punto di raccolta e di lavorazione del latte.
 
 
 
 
La “casara”, o meglio “casello turnario”, era il luogo dove a rotazione ciascun associato ricavava dalla lavorazione del latte, prodotto dalle proprie vacche, i vari prodotti (formaggio, burro, ricotta…) che diventavano indispensabili per il sostentamento della famiglia come alimentazione e come ricavato economico dalla vendita degli stessi.
 
I “caselli turnari” erano molto diffusi nelle nostre zone tanto è vero che erano presenti in parecchie contrade dell’alta valle.
 
Queste strutture svolgevano un’importante funzione economica e sociale a beneficio delle piccole comunità.
 
Ma anche tutto questo doveva cedere il passo all’incalzare dell’industrializzazione, infatti negli anni '70 la “casara” cessò la sua attività e funzione.
 
Negli anni '50 la parrocchia, non avendo ancora strutture adeguate, utilizzava il grande spazio del primo piano della "casara" per rappresentazioni, commedie e riunioni.
 
Lo stabile, dopo la chiusura, fu usato dai giovani del paese come punto di aggregazione per incontri, feste e manifestazioni varie.
 
Per un certo periodo fu anche un valido punto logistico per lo svolgimento delle sagre e delle feste degli alpini. Quindi divenne magazzino e deposito di materiale della parrocchia.
 
 
Particolare del tetto
 
 
 Nel frattempo cominciò un dibattito fra i soci (ora molti di più come eredi) per cercare un valido utilizzo per un edificio che poteva prestarsi a molteplici usi. Ma, ahimè, a distanza di quasi 40 anni continua ancora una sterile e infruttuosa discussione e intanto, se non si interverrà rapidamente, questa struttura è destinata a diventare un cumulo di macerie sotto alle quali verrà sepolto un periodo importante della nostra storia, della nostra cultura e della nostra tradizione.
 
 
Situazione attuale
 
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La lavorazione del latte
 
 
La lavorazione del latte avveniva in casara, edificio dove gli associati conferivano il latte e dove poi si conservavano i formaggi fino a completa stagionatura.
 
Appena effettuata la mungitura, mattino e sera, il latte veniva portato, con sece e bigolo, alla casara. Veniva versato nella misura e la quantità era segnata sulla lavagna al numero di riferimento di ciascun socio, successivamente il casaro riportava i dati nel registro della contabilità ufficiale. Il latte della sera era raccolto in mestele, recipienti circolari piuttosto bassi e molto grandi, dove durante la notte affiorava la tela o panna. Al mattino questa era raccolta con un’apposita spanarola e messa nella zangola, una botte fissata a due perni che, fatta ruotare da mezz’ora a un’ora di tempo, produceva il burro.
 
Per questa operazione la panna doveva avere una temperatura di circa 12 gradi e l’esperto casaro lo accertava immergendovi un dito e aggiungendo del ghiaccio per abbassare la temperatura.
 
Ora il latte scremato veniva versato nella calgera, una grande caldaia di rame sospesa sul fuoco mediante un robusto perno girevole di legno (la mussa) e, rimestando di tanto in tanto con la risola, un lungo mestolo di legno recante ad una estremità una semisfera, lo si portava alla temperatura di 28 gradi.
 
A questo punto si aggiungeva il caio o conaio (caglio) nella misura di una noce per 100 – 120 litri di latte. Il caglio si ricavava dall’abomaso dei vitelli da latte; tale organo era essiccato al camino e quindi ridotto in poltiglia, mischiato con dell’aceto e conservato in barattoli di legno.
 
Si lasciava poi riposare il liquido, spostando la caldaia dal fuoco, per una quarantina di minuti, aspettando che si coagulasse e dare la caià.
 
Questa veniva tagliata e sminuzzata con due singolari attrezzi, il triso e la chitara, specie di frullini il primo ricavato da un ramo di pino con varie punte, la seconda formata da fili di ferro tesi su un telaio rettangolare.
 
Si riportava la caldaia sul fuoco alla temperatura di 35 gradi e, rimestando con la risola, si faceva cuocere la caià finchè, coagulandosi completamente, non avesse formato un blocco di formaggio bianchissimo. Questa pasta molle (musso), estratta a blocchi dalla calgera, veniva messa nelle fassare, delle sottili fasce di legno di varia grandezza per dare forma al formaggio, e posta quindi a scolare su un piano di legno leggermente inclinato detto parsoro.
 
Infine le forme si cospargevano più volte di sale e, dopo averle unte di olio, si sistemavano per una perfetta asciugatura e la successiva stagionatura su scansie di legno, in un locale ben aerato, tutte contraddistinte dal numero del socio proprietario e dalla data di produzione.
 
Col siero rimasto, ed eventuale aggiunta di altro latte, si faceva la puina (ricotta). Il liquido veniva portato a 90 gradi e fatto cuocere finchè non appariva la fioreta che, estratta con lo schiumatoio, si poneva a scolare in appositi sacchetti di tela o anche in ciotole di legno bucherellate, dette carote. Il rimanente, detto scoro o scota, si dava in pasto ai maiali.